Il progetto “Casa Alzheimer”: un approccio innovativo al supporto dei malati di Alzheimer e dei loro familiari e alla formazione dei caregiver
Casa Alzheimer è l’approccio innovativo che abbiamo elaborato e sperimentato in Toscana fin dal 2018 e che utilizziamo come modello di consulenza a domicilio e di formazione.
Nasce dalle radici del metodo Gentlecare della terapista occupazionale canadese Moira Jones e mette al centro lo strumento della “protesi mentale”, un dispositivo con il quale i caregiver possono aiutare i malati di Alzheimer ad aumentare il proprio benessere e a diminuire lo stress. A differenza di Gentlecare, però, che viene utilizzato nelle strutture diurne o residenziali, Casa Alzheimer si realizza negli ambienti domestici.
Come interveniamo nell’ambiente domestico
Quando facciamo consulenza a domicilio teniamo sempre in mente dobbiamo farlo con delicatezza e cercando di favorire la creazione di un primo “attaccamento” tra noi e le persone che incontriamo. Questo infatti crea con loro una fiducia di base che ci permette di entrare anche nelle loro vite, sia pure per un periodo breve. Anche quando la consulenza, per qualche motivo, non va oltre il primo incontro, infatti, è molto importante per noi che si crei un legame, anche se “debole”, breve, circoscritto, che resti come una sorta di “mattone” positivo nella memoria e nell’esperienza dei familiari. Per questo siamo sempre molto attenti anche a dire con chiarezza perché siamo lì, a fare cosa, con quale obiettivo e magari ridimensionando delle aspettative a volte un po’ ”magiche”.
Cosa sono e a cosa servono le “protesi mentali”
Nell’applicare il metodo di “Casa Alzheimer” lavoriamo, come si diceva, per aiutare i caregiver a costruire delle “protesi mentali”, dei veri e propri supporti che, se applicati dai familiari o da altri caregiver, possono aiutare non solo le persone malate di Alzheimer, ma anche l’equilibrio del nucleo familiare e domestico. Supporti che hanno a che fare con tre aspetti fondamentali, l’organizzazione degli spazi, le attività e le relazioni, e che aiutiamo a costruire a partire dal vissuto delle persone e dall’ambiente nel quale vivono. Facciamo subito qualche esempio per rendere chiaro di cosa stiamo parlando.
Se pensiamo ad interventi legati allo spazio nel quale la persona vive, possiamo pensare a quello che abbiamo suggerito alla famiglia di Carlo: mimetizzare una porta con un adesivo (che si trova facilmente in commercio, anche online) perché sembrasse una libreria. In questo modo, Carlo ha diminuito drasticamente i suoi tentativi di fuga, a volte riusciti, che mettevano continuamente a rischio la sua sicurezza.
Un altro aspetto è l’attività: ad Enza, che segue la signora Anna durante il giorno, abbiamo suggerito di partire da cosa piacesse fare ad Anna prima di ammalarsi. E siccome Anna era una brava cuoca, abbiamo proposto ad Enza di farle fare un dolce, o il sugo, così come le riusciva, per farle sperimentare di nuovo gesti, odori e sensazioni un tempo consueti: qualcosa di familiare, in tempi e modi alla sua portata, che fossero per lei “di successo”, senza preoccuparsi che il risultato finale fosse perfetto o semplicemente commestibile.
Infine, si guarda alle relazioni e al modo di comunicare: ad esempio, quando Chiara, la figlia di Antonio, ha smesso di tentare di correggere cosa lui faceva, e di dirgli tanti no o fargli domande a cui non sapeva rispondere, Antonio si è decisamente tranquillizzato e anche la tensione continua di Chiara è diminuita. In questo ultimo aspetto ci aiuta molto anche l’ApproccioCapacitante® di Pietro Vigorelli, un altro nostro riferimento importante.
Così, per ogni persona è possibile pensare un mix di interventi in questi tre aspetti, che diventa appunto la sua protesi mentale.
Il supporto ai caregiver: importante almeno tanto quanto il loro ruolo nei confronti dei malati di Alzheimer
In questi anni con il progetto “Casa Alzheimer” abbiamo supportato i caregiver nel loro ruolo di “agenti terapeutici”, aiutandoli a individuare modalità di comunicazione efficaci con la persona della quale si prendono cura e a restare in contatto con le sue emozioni e risorse. Abbiamo lavorato con loro per aiutarli ad uscire da un atteggiamento passivo e senza speranza, per imparare a vedere gli aspetti positivi delle persone delle quali si prendono cura e a ottenere la “felicità possibile” nella relazione con loro (Vigorelli). Ad essere, appunto, degli “agenti” che, con maggiori competenze e consapevolezza, siano realmente“terapeutici”. Per far questo negli anni abbiamo lavorato sia con i familiari dei malati di Alzheimer, con interventi di counseling realizzati all’interno delle loro case, che con interventi di formazione indirizzati ai caregiver di professione come volontari, assistenti alla persona, badanti, operatori della cura e counselor, per permettere loro di supportare con maggiore professionalità e competenza le famiglie.
Dall’azione alla formazione
Abbiamo così creato un percorso che, partendo dalle necessità degli operatori della cura con abilità di ascolto di base e i counselor, unisce aspetti teorici ad esempi concreti e simulazioni basate su situazioni reali. L’obiettivo di ogni intervento è far acquisire nuove competenze per applicare e diffondere “Casa Alzheimer”, ma anche diffondere un nuovo approccio alla malattia di Alzheimer che, invece che combatterla o subirla, guardi alle risorse delle persone, delle famiglie e dei territori e operi con interventi più organici, specifici e rispettosi degli ambienti e dei territori dove le persone vivono.
Eccone qui in chiusura un assaggio, tratto dal primo modulo del percorso.Sei un operatore o un counselor interessato a partecipare al percorso formativo sull’approccio di “Casa Alzheimer” dedicato ai caregiver oppure vuoi saperne di più?